É il Santo Stefano dell'incontro fra il Presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky, siamo al numero dieci di Downing Street a Londra, l'erba è ben tagliata e la cancellata dipinta da poco. Si attende il vertice sulla difesa europea e sull'Ucraina convocato da Starmer, ed assistiamo ad una cosa bella.
Il primo ministro britannico accoglie Zelensky. Se il benvenuto americano al presidente ucraino del giorno precedente muoveva da una dubbia ironia sul suo abbigliamento (il buongusto non è per tutti, non parlo di abiti), Starmer preferisce un abbraccio. Il loro scambio è un respiro al meccanicismo diplomatico, diventa virale in un quadro politico pericoloso e nel quale tutto partecipa all'effetto farfalla. Questo abbraccio ci insegna tre cose.
1 - La diplomazia non gioca a voci grosse. Muove da un insieme di virtù quali equilibrio, buona retorica, tatto e capacità di mediazione. Sottolineo le ultime due.
2 - Dare conforto è gratuito per tutti, pensiamoci su.
3 - Un abbraccio fa parlare meno, ma meno non significa niente. Anche nelle tragicità persistono momenti buoni, ma prestiamo comunque più attenzione a quello che non va. (Consiglio di lettura: “Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo”, Hans Rosling).
Per aggiustare il mondo un abbraccio non basta, ma ad un uomo che sta difendendo l'esistenza e la sovranità della propria nazione da millecentoquattro giorni incessantemente forse può fare bene.